La Corte costituzionale, con sentenza del 15.03.2013, n. 38, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 5 (commi 1,2,3,4 e 7) e dell’articolo 6 della legge della Provincia di Bolzano 16.03.2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale),ritenendoli non sufficientemente “liberalizzatori”. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso presentato il 17 maggio 2012 aveva promosso, in via principale, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell’articolo 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale), in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera e) e 41 della Costituzione, nonché agli articoli 4, 5, 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
La Corte costituzionale, con sentenza del 15.03.2013, n. 38, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 5 (commi 1,2,3,4 e 7) e dell’articolo 6 della legge della Provincia di Bolzano 16.03.2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale),ritenendoli non sufficientemente “liberalizzatori”. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso presentato il 17 maggio 2012 aveva promosso, in via principale, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell’articolo 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale), in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera e) e 41 della Costituzione, nonché agli articoli 4, 5, 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Secondo l’Avvocatura dello Stato le disposizioni di cui all’art. 5, commi 1, 2 e 3, della citata legge provinciale n. 7 del 2012, «singolarmente considerate e in combinato disposto» – nel prevedere che il commercio al dettaglio nelle zone produttive sia ammesso soltanto come eccezione (comma 1), per le categorie merceologiche indicate (comma 2) e per i relativi accessori determinati ed ammessi da una successiva deliberazione della Giunta provinciale (comma 3) – sono in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Detta norma sancisce il principio della libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, ad eccezione di quelli attinenti alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (incluso l’ambiente urbano) e dei beni culturali, sicché le norme provinciali, traducendosi nell’introduzione di limitazioni all’apertura di nuovi esercizi di commercio al dettaglio nelle zone produttive, determinerebbero restrizioni alla concorrenza, così invadendo la potestà legislativa esclusiva dello Stato in tale materia. Inoltre, la disposizione di cui al comma 3, rinviando ad un provvedimento della Giunta provinciale la determinazione degli accessori delle categorie merceologiche di cui è ammessa la vendita, opererebbe una delegificazione della materia stessa, in contrasto con la potestà legislativa esclusiva dello Stato. Le stesse norme, poi, sempre secondo l’Avvocatura dello Stato, si porrebbero in violazione: a) dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, secondo cui le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché quelle di somministrazione di alimenti e bevande, si svolgono senza limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi; b) degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, in quanto le suddette disposizioni provinciali andrebbero oltre le competenze statutarie in materia di commercio. Ciò sia se alla Provincia autonoma di Bolzano si riconosca, in virtù della clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), competenza legislativa esclusiva ai sensi dell’art. 8 dello statuto speciale, in quanto la violazione dell’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, (poi convertito), determinerebbe il contrasto con l’art. 4 del detto statuto; sia se si riconosca competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 9 dello statuto speciale, in quanto la violazione dei citati principi stabiliti dalle leggi dello Stato si porrebbe in contrasto con l’art. 5 dello statuto stesso. Ancora, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’Avvocattura dello Stato, l’art. 5, comma 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2012, nel prevedere che sono fatte salve dall’applicazione dei primi tre commi le strutture di vendita al dettaglio già autorizzate o già in esercizio (alla data di entrata in vigore della legge) nelle aree produttive, nelle quali sono vendute merci diverse da quelle elencate nel comma 2, e nello stabilire che esse, pur potendo continuare l’attività, non possono essere ampliate, trasferite o concentrate, nonché l’art. 5, comma 7, della medesima legge, nel disporre che la possibilità di esercitare l’attività di commercio al dettaglio, di cui al comma 4, decade, se l’attività stessa viene a cessare, incorrerebbero in violazione: 1) dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all’art. 31, comma 2, del citato d.l. n. 201 del 2011. Infatti, le suddette disposizioni comporterebbero una ingiustificata restrizione al libero svolgimento dell’attività di commercio al dettaglio delle merci differenti da quelle ammesse, risolvendosi in una sorta di “congelamento” delle attività in corso, le quali non potrebbero essere modificate nelle loro modalità di svolgimento fino al loro esaurimento, rendendo così impossibile che le attività medesime possano adattarsi alle mutate esigenze del mercato, con evidenti riflessi anticoncorrenziali; 2) dell’art. 41 Cost., sotto il profilo della violazione della libertà d’iniziativa economica, perché i vincoli in questione costituirebbero un evidente ostacolo alla possibilità di adottare strategie differenziate da parte degli esercenti e, quindi, un ostacolo all’ampliamento dell’offerta a beneficio dei consumatori ed al potenziale aumento, o mantenimento, del proprio giro di affari, e, inoltre, impedirebbero che, nel momento in cui quelle attività vengano a cessare, possano essere avviate negli stessi esercizi nuove attività; 3) degli artt. 4, 5, 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972, per le stesse motivazioni sopra esposte. Infine, sempre secondo l’Avvocatura dello Stato, l’art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2012, nel prevedere che la Giunta provinciale è autorizzata ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, indirizzi che dovrebbero garantire un’effettiva tutela degli usi e costumi, ai sensi dell’art. 8 dello statuto del Trentino-Alto Adige, la tutela dei lavoratori autonomi e dipendenti e il rispetto delle esigenze di ordine pubblico e di tutela della salute, violerebbe: a) l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 – il quale, nel modificare l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. n. 223 del 2006, (poi convertito), stabilisce che le attività commerciali (come individuate dal d.lgs. n. 114 del 1998) e di somministrazione di alimenti e bevande si svolgono senza limitazioni e prescrizioni quanto al rispetto degli orari di apertura e di chiusura, dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva, nonché di quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale – in quanto favorirebbe l’adozione di iniziative locali idonee a reintrodurre vincoli che la normativa nazionale di liberalizzazione ha abolito dall’ordinamento, così invadendo la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza; b) gli artt. 4, 5, 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972, per le stesse motivazioni sopra richiamate. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1,2,3,4 e 7 e dell’art. 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16.03.2012, n. 7 sono state ritenute fondate da parte della Corte costituzionale, che con sentenza 15.03.2013, n. 38 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale.(o.z.)