Il nuovo decreto sulle liberalizzazioni, che dovrebbe essere varato dal Governo Monti entro il 20 gennaio, prevede nuovi interventi normativi nel campo delle attività commerciali. Le bozze che circolano presentano differenziazioni al loro interno ed é tuttora in corso il lavoro di perfezionamento della stesura del decreto sia in base alle osservazioni e rilievi che pervengono dai singoli ministeri che dalle pressioni che pervengono dall’esterno, dai partiti che sostengono il governo per tutelare il loro elettorato e dalle associazioni di categoria a tutela degli interessi dei loro associati. Non è pertanto al momento prevedibile, sulla base dei compromessi ai quali il governo dovrà scendere, quale sarà il contenuto effettivo di queste liberalizzazioni. L’ampio spettro delle liberalizzazioni prospettate e la loro trasversalità su molte categorie economiche fa comunque emergere approcci diversi. Nel caso delle attività commerciali al dettaglio si ipotizza una estensione del meccanismo dell’autocertificazione al posto delle licenze per l’apertura di punti di vendita. L’operazione dovrebbe essere effettuata in due tempi: entro il 20 giugno 2012 il governo dovrebbe individuare le attività per le quali rimane in vigore l’atto d’assenso preventivo da parte della Pubblica Amministrazione, mentre per le altre attività il meccanismo già introdotto con la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) dovrebbe diventare operativo a partire dal 30 ottobre 2012. Non è pertanto prevedibile in questo momento se il processo di liberalizzazione che a partire dai decreti Bersani del 1998 e del 2006 ha investito gli esercizi di vicinato (con superficie di vendita inferiore ai 150 mq nei comuni con meno di 10.000 abitanti ed inferiore ai 250 mq. nei comuni con oltre 10.000 abitanti) potrà interessare il settore delle medie strutture di vendita (ora programmato dai Comuni) ed eventualmente anche il settore delle grandi strutture di vendita (ora programmato dalle Regioni). Nelle bozze del decreto in circolazione sarebbe pure prevista l’eliminazione dei minimi di superficie per le rivendite dei giornali e riviste, come pure verrebbe soppressa l’attuale regolamentazione in materia di saldi e promozioni, in modo da offrire ad ogni impresa commerciale al dettaglio la possibilità di poter decidere in autonomia in quale periodo effettuare sconti, saldi o vendite straordinarie. Il meccanismo della programmazione resterebbe invece in vigore per le farmacie. Verrebbe abbassato a 3.000 abitanti il quorum necessario ai fini dell’apertura di nuove farmacie, mentre attualmente è di 5.000 o 4.000 abitanti nei centri urbani fino o oltre 12.500 abitanti. Entro 5 mesi dalla conversione in legge del decreto le Regioni dovrebbero bandire i concorsi per l’assegnazione delle nuove farmacie, riservandole ai farmacisti non titolari e ai titolari di farmacie rurali. A questo nuovo meccanismo è poi legata la vendita di farmaci di fascia C. Essa rimarrebbe riservata alle sole farmacie, in quanto solo nelle regioni in cui entro il 1° marzo del 2013 non sarà stato assegnato almeno l’80% di nuove farmacie, la vendita di farmaci di fascia C con ricetta sarà consentita nelle parafarmacie e nei corner della grande distribuzione. Come si vede si tratta di un evidente compromesso con la storica lobby dei farmacisti. Un compromesso più grave è all’orizzonte per le licenze dei tassisti. In questo caso sarebbe previsto un incremento delle licenze sotto forma di assegnazione agli attuali tassisti di una quota di licenze di nuova emissione, in modo da poterle rivendere insieme alla licenza in loro possesso quando cesseranno la propria attività. Si tratterebbe in sostanza di una forma di buonuscita. Questa modalità di compensazione è stata teorizzata dall’economista Tito Boeri in un articolo apparso sul giornale “La Repubblica” il 31 dicembre scorso ed è fatta propria anche da vari politici (non ultimo l’assessore al commercio del Comune di Bologna). Non rileva in questo caso che in questo modo non si pratica una liberalizzazione ( la cui via maestra è quella dell’eliminazione dell’istituto della licenza), ma si consente di praticare la compravendita di un atto rilasciato dalla Pubblica Amministrazione, pratica che – con un termine un po’ desueto- si chiama “mercimonio”. Inoltre si creerebbe una situazione di forte e ingiusta sperequazione nei riguardi dei titolari di esercizi commerciali di minori dimensioni e degli artigiani di servizi (quali barbieri e parrucchiere) che con le liberalizzazioni attuate coi decreti Bersani del 1998 e del 2006 non hanno potuto usufruire di un simile trattamento di compensazione. Eppure sono tutte figure di lavoratori autonomi, che sanno fin dall’inizio per loro esperienza diretta che in caso di cessazione dell’esercizio possono contare sul mercato solo sul riconoscimento del “valore di avviamento” della propria attività, valore che ovviamente differisce per le varie attività praticate. (o.z.)